giovedì 23 giugno 2016

Chi ha paura dei vaccini? e perchè?


Andrea Grignolio, docente di Storia della Medicina all’Università di Roma La Sapienza, ha recentemente scritto “Chi ha paura dei vaccini?”, edito da Codice Edizioni e disponibile anche su Amazon a questo link https://www.amazon.it/…/88…/ref=cm_sw_r_cp_tai_shszxbNDDCV4V; nel suo libro analizza il fenomeno dell’esitazione vaccinale e fa luce sull’aspetto emotivo e irrazionale che spesso guida le scelte dei genitori. Un testo dedicato sia ai genitori sia a chi desidera comprendere il ruolo dei vaccini nella società contemporanea, in un viaggio che attraversa la storia dei movimenti antivaccinisti e la psicologia cognitiva.
IoVaccino ha voluto intervistarlo e chiedergli cosa ne pensa del fenomeno della comunicazione sui social e dell’impegno preso da molti cittadini, divulgatori e blogger su questo importante tema.
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Lei si occupa di comunicazione da molto tempo e nel suo libro è presente anche un excursus storico sui movimenti antivaccinisti dal 700 ad oggi; secondo lei cosa è davvero cambiato negli ultimi decenni?
L’opposizione nei confronti dei vaccini nasce con la vaccinazione stessa, ovvero già con la variolizzazione introdotta da Jenner; nell’arco di due secoli è cambiato principalmente il fatto che questa opposizione proveniva inizialmente dalle frange meno colte della popolazione, che non accettavano di buon grado che funzionari statali inoculassero loro agenti infettivi attenuati. Successivamente, dalla fine dell’800 agli anni 1960/70, quando è iniziata la vaccinazione di massa e si sono moltiplicate le vaccinazioni contro le grandi malattie infettive, il successo che ne è seguito e l’eradicazione di molte malattie ha attenuato la spinta antivaccinale; negli anni ’80 e ’90, parallelamente alla diffusione dei mass media (la televisione prima e le rete poi), il successo dei vaccini ha nettamente modificato la percezione dei rischi legati alle malattie infettive, creando un’immagine falsata della realtà.
Bisogna spiegare che la percezione che abbiamo delle malattie non rappresenta la realtà: non incontrare persone mutilate dalla polio non significa infatti che le malattie siano scomparse, ma soltanto che è cambiata la percezione sociale delle malattie.
Non solo, è cambiata anche la fascia di popolazione che si oppone alle vaccinazioni: se prima potevamo identificare gli oppositori in una fascia marginale, poco colta e con difficoltà a comprendere il principio della vaccinazione, ora coloro che si oppongono alla vaccinazione sono per lo più persone istruite e benestanti.
Nel suo libro analizza i cosiddetti genitori esitanti: i genitori quindi non sono tutti uguali? Esiste quindi la possibilità secondo lei di individuare tipologie diverse?
La letteratura riporta tre grandi categorie: la prima, che rappresenta circa il 40% dei genitori, si può suddividere in un 20% che non ha alcun dubbio sulle vaccinazioni e un 20% che si fida delle vaccinazioni (e le esegue) ma ha comunque qualche dubbio iniziale.
Poi vi è un 40% dato dai cosiddetti genitori “esitanti”, genitori che sono indecisi e che prima di decidere si informano molto: costoro possono poi o rientrare nella categoria dei genitori che vaccinano, o propendere per una vaccinazione tardiva o parziale rispetto al calendario.
Infine vi è un 10% rappresentato dai cosiddetti “oppositori radicali”, ovvero coloro che non vaccinano i bambini.
Naturalmente vi sono delle lievi sovrapposizioni, ad esempio genitori che vaccinano il primo per i soli vaccini obbligatori mentre decidono di non vaccinare il secondo; pertanto queste categorie sono giuste ma anche “opache”, perché non tengono conto di comportamenti ondivaghi.
Recentemente il dialogo fra i cittadini sul tema delle vaccinazioni si è spostato sui social e sulla rete: cosa ne pensa di questo fenomeno? Crede che questa piattaforma sia un luogo di confronto utile e che vi siano strategie comunicative particolarmente adatte al medium?
Esistono due tipologie di posizioni sul fenomeno della comunicazione in rete; da una parte chi crede che la rete abbia influenzato in modo deleterio la scienza, dando valore all’idea che vi sia una par condicio possibile, per cui la scienza sarebbe divenuta luogo di scambio di opinioni e di ascolto di due campane diverse proprio a causa del medium utilizzato. Dall’altra parte chi crede invece che il medium non abbia fatto altro che far emergere lo stato dell’arte delle cose, ovvero abbia portato alla luce del sole ciò che in realtà era già esistente, ma che utilizzava altri canali e luoghi comunicativi, come ad esempio le conversazioni al bar. Semplicemente la rete ha funzionato come cassa di risonanza, perché se prima chi viveva in un piccolo paese non aveva la percezione generale della situazione di altre realtà lontane, ora invece la comunicazione fra i vari nodi fa si che le opinioni di tutti siano libere di circolare; pertanto accade paradossalmente che chi ha gli strumenti culturali per informarsi in rete ne tragga un arricchimento, mentre per chi non ha strumenti culturali la rete diventa un impoverimento, non avendo costoro la capacità di distinguere informazioni valide da altre assolutamente non valide e false.
E’ difficile riuscire a far capire alle persone che la scienza non si muove nel campo delle opinioni, come accade per esempio nella politica o nel senso estetico. La scienza, come nel caso esemplare della Terra piatta, non ha opinioni, ma si basa su dati e fatti: allo stesso modo che i vaccini non causino autismo non è un’opinione, ma un dato di fatto, indiscutibile. Questo è il punto di partenza di diversi errori giornalistici, sia in tv che in rete: sentire le due campane e lasciare che il pubblico si faccia la propria idea è un errore gravissimo.
Inoltre per la vaccinazione la questione diventa ancora più complessa, perché proprio le fasce di popolazione acculturate cadono nei tranelli dei siti disinformativi; le persone istruite e dubbiose leggono molto, troppo, e spesso anche i comunicatori commettono errori nel rivolgersi a questa fascia.
Come si dovrebbe quindi parlare a questi genitori? Esistono delle strategie di comunicazione efficaci e quali sono invece gli errori più comuni da evitare quando si parla ai genitori dubbiosi?
Esistono diversi errori che andrebbero assolutamente evitati; anzitutto è sbagliato fornire troppe informazioni. Diverse ricerche hanno dimostrato che un eccesso di informazioni ci porta infatti a compiere scelte subottimali, poiché non abbiamo strumenti a sufficienza per manipolare una tale mole di dati. La rete presenta spesso informazioni sui vaccini che sono quantitativamente troppe, oltre a essere spesso false e contraddittorie, specialmente sulla questione della percezione del rischio: spesso i genitori chiedono che i vaccini siano a rischio zero, non comprendendo che nessun trattamento farmacologico lo è - ad esempio l’aspirina è 1.500 volte più pericolosa di un vaccino in termini di rischio. Quando si parla di rischio il genitore quindi richiede informazioni che però spesso non è in grado di gestire e comprendere, e d’altra parte se non vengono date ha la percezione che vi sia l’intento di nascondere o insabbiare informazioni.
La comunicazione efficace con i genitori deve essere piana, mai aggressiva, deve mostrare dati ma essere anche “calda”.
Uno degli errori più comuni è fornire nel dialogo continue informazioni correttive; le informazioni sbagliate andrebbero ignorate e sostituite da corrette informazioni, ma senza produrre giudizi del tipo “avete sbagliato, vi siete fatti fregare, ecc”; questa sorta di sfida che si verrebbe a creare fra le parti determina infatti una chiusura cognitiva e fa sì che invece si rafforzino le reciproche posizioni.
La comunicazione ottimale dovrebbe sostituire invece questa falsa percezione del rischio della vaccinazione con una reale percezione del rischio di contrarre una malattia, ad esempio attraverso il racconto delle storie di madri che hanno vissuto esperienze negative con malattie prevenibili; storie che enfatizzino cosa si perde in termini di salute a non vaccinare e non cosa si guadagna, ovvero una comunicazione che non sostenga quanto siano importanti i vaccini ma cosa comporti il non vaccinarsi e che cosa può accadere realmente.
Infine la comunicazione efficace dovrebbe essere personalizzata su ogni bambino, mirata sulla prole dei nostri interlocutori; in un sito questa è un’operazione difficile, ma all’interno di specifici colloqui individuali è possibile analizzare sempre fattori specifici quali l’età, la regione, la stagione e l’individualità di ogni famiglia; la comunicazione “altruista”, ovvero che fa leva sull’interesse per gli altri e la loro protezione, si è dimostrata invece purtroppo inefficace.
Recentemente un nuovo movimento ha unito operatori sanitari, cittadini e divulgatori scientifici in rete sotto il nome di TeamVaxItalia, formulando la “Carta italiana per la promozione delle vaccinazioni”, un documento che vuole essere una chiamata all’azione da parte di tutti. Cosa ne pensa?
Ho letto il documento e lo sottoscriverò senz’altro; questo tipo di strumento è importantissimo e davvero innovativo, poiché se fino a poco tempo fa esistevano in rete soltanto movimenti contrari, ora si affacciano su questo panorama anche genitori e cittadini che sostengono le vaccinazioni.
Credo sia fondamentale soprattutto che all’interno di questi gruppi di sostegno alle vaccinazioni siano presenti i genitori, soprattutto coloro che hanno vissuto esperienze negative e che possono raccontarle; la percezione del rischio a livello sociale viene così, attraverso questi movimenti, riportata in uno spazio pubblico. Mi sembra quindi fondamentale il forte impegno di contrasto alla disinformazione da parte di genitori e divulgatori, oltre naturalmente al sostegno dei programmi vaccinali.


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